Ecco cosa ci nascondono i media e i giornalisti, ma che sta succedendo fuori dal recinto del nostro orto: Julian Assange e le nazioni SudAmericane
Molte cose non ci vengono dette (il 90%) dai media, e questo perché ci dovrà pur essere un motivo se siamo dietro la Mongolia (con tutto il rispetto per loro) nella classifica sulla libertà di stampa a quasi il 70° posto.
Gli italiani (o quel che ne resta di questa nazione inesistente e a brandelli) sono tenuti in uno stato comatoso, nell'incapacità di capire il mondo che ci circonda e che è avanti due anni luce rispetto a quello che viene raccontato.
Il sud america, ad esempio, per i media è un'ex colonia di lebbrosi desiderosi di attenzioni, pidocchi del mondo schiavi delle loro incapacità.
Ma fortunatamente non è così, e se leggerete quello che vi sto per postare (scritto da Sergio Di Cori Modigliani, collega blogger raggiungibile cliccando QUI), tutto d'un fiato, molti vostri pregiudizi e miti non saranno più tali.
@Tosevita
"
Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di
“politicamente”) è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri,
invece, sarebbe iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano
almeno quattro anni prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in
Usa.
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange, wikileaks, e la Repubblica di Ecuador.
Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa
prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino,
ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e
proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite
planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque
anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo,
mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al
mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?
Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il continente americano, in
Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi. In Europa e a
Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa.
Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al 100% eurocentrica, vive
sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la
minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più
conta) pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il
mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la
civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali. Ma il mondo
non funziona più così. In Italia, ad esempio, nessuno è informato sulla
zuffa (che sta già diventando rissa) tra il Brasile e l’Onu, malamente
gestita da Christine Lagarde, la persona che presiede il Fondo Monetario
Internazionale, e che ruota intorno all’applicazione base di un
concetto formale, banale, quasi sciocco, ma che potrebbe avere
ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia è stata ufficialmente
retrocessa. Non è più l’ottava potenza al mondo, bensì la nona. E’ stata
superata dal Brasile. Quindi al prossimo G8 l’Italia non verrà
invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il G8
trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.
La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal
mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa,
non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del
Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti
politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a
casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche
sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle
parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi
è questo.
Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre
potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in
Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non
altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York
del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa,
ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una
compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se
non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie
su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto
il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore
della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.
Jules
Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a
Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo
porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle
forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due
ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi
di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni farà prevalere
il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato”
sostenendo che Jules Assange è “intervenuto attivamente” all’interno
del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno
direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove verrà sottoposto a
processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui
l’applicazione della pena di morte sulla base dell’applicazione del
Patriot Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta
dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta.
“vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai
lì”. Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata
dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una
trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma
e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo:
“evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13
agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta
che non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si
fidano (giustamente) degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a
segno due favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il
4.
Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la
presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta
alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale accompagnata
dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri ecuadoregno,
Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza
Laburista Bolivariana America”) l’unione economica tra Ecuador, Colombia
e Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa fotografare e
riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un
assegno di 12 miliardi di euro intestato al Fondo Monetario
Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino
ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la Repubblica Argentina
ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile,
attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi.
Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci
rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo
semplicemente la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci
anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi.
Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi
anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni
del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci misure restrittive
di rigore economico sostenendo che fosse l’unica strada. Noi abbiamo
seguito una strada diversa, opposta: quella del keynesismo basato sul
bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in
infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare.
Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Siamo
oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le
idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in
materia economica sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora lo sono
ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e
ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato
di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e
alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per
primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale……” ecc.
Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner ha presentato una denuncia
formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO (World Trade
Organization) la più importante associazione planetaria di scambi
commerciali coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale grazie ai
files messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha
saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti.
“Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una
lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno
impietosamente. Grazie (o per colpa) di Assange, dato che il suo gruppo
ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie
del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia,
l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone:
Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard
Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi
potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in
ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse
energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per
impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani
applicando invece i dettami del Fondo Monetario Internazionale il cui
unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a
vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali
inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran parte
dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran
Bretagna dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York-
ricorda chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima
nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale
dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il
rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i
debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi
attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la
violazione di norme costituzionali”. Il 12 dicembre del 2008, infatti,
il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (pil intorno ai
50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno dell’Italia) dichiara
ufficialmente in diretta televisiva in tutto il continente americano
(l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si
trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare
il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno
alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso.
Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è
così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale
per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il Fondo Monetario
Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili:
non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato”
dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo
Monetario.. Il paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez
annuncia ufficialmente che darà il proprio contributo dando petrolio e
gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il
presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate
al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione,
finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che
darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta
gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la
popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver
legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene
collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un
prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni
in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company
e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro
l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è
il primo produttore al mondi di banane) e lancia un piano nazionale di
investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo,
i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad,
e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare
subito dei contratti decennali di acquisto della produzione di banane
attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che possono essere
scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. Il 20 dicembre del
2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il
presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17
gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador”
annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti
anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi
statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale di New York
Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che
c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono
alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del
concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata
come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione
politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare
che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è
datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq,
che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in
quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora
riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250
miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia
grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei
fedele al vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di
“debito immorale” e quindi aprendo la strada a un precedente storico
recente. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo
americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se si annulla la
decisione dell’Ecuador allora si annulla anche quella dell’Iraq e
quindi il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti
compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora
insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida
parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto
dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come
Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta.
Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un
intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica
a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce
“cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di
chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel
congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di
Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale
per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del
precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono
tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore.
Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative
agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si
dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede
ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi
dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi
evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli
uomini”.
Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del
Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si
parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo
Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle
multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol
capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste
alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane
ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello
sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di
efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non
lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney,
Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria.
L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione
africana o asiatica del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa
pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il
contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne
rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del
globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle,
responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più
importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media
& finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e
finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò
all’interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri
(chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest,
reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e
Cecchi Gori soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di
un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla telecinco che
li rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a
2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a
Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i
diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre
volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò
al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del
consiglio, quindi Garzòn venne fermato dall’Unione Europea. Ottenne una
mezza vittoria. Chiuse la telecinco e finirono in galera i manager
spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset.
Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di
avercela fatta ma il governo italiano di allora (Prodi & co.) aiutò
Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e
contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione
al finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte militari
di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando in
pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato
esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il
magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti,
in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto
legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000
file ancora in possesso di Jules Assange che non sono stati resi
pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare
diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con
sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la
dignità della persona”.
La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza
paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un
gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella
italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non
hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati,
notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e
chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti.
In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo difende.
Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e
ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
Wikileaks non va letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet
point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica
che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai
sappiamo tutti come stanno le cose.
Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno
abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che
accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente
argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel
dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
Sergio Di Cori Modigliani
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Giulio